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Immagine del redattoreCristiano Del Torre

Area concorsuale: omologazione accordo di ristrutturazione con il no del fisco

Con decreto depositato il 29 luglio, il Tribunale di Milano ha omologato - ai sensi dell’ultimo periodo del comma 4 dell’articolo 182-bis della legge fallimentare - l’accordo di ristrutturazione dei debiti consistente in una proposta di transazione fiscale con cui una società aveva offerto di soddisfare i crediti tributari (rappresentativi del 99% circa dei debiti complessivi) nella misura del 5,4%: l’esito del confronto tra il soddisfacimento del fisco derivante dalla transazione e quello derivante dall’alternativa liquidatoria fallimentare, infatti, è risultato ampiamente favorevole alla proposta di transazione fiscale presentata dalla società debitrice. A questa conclusione i giudici milanesi s1ono pervenuti nonostante il diniego espresso dalla agenzia delle Entrate, dichiarandosi così apertamente a favore della corrente di pensiero secondo cui la locuzione «in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria» ricomprende (oltre che la mancata risposta) la risposta negativa, poiché anche in essa è riscontrabile la mancanza di assenso («così come anche il voto negativo corrisponde alla “mancanza di voto”» nel concordato preventivo).

A favore della tesi estensiva milita in particolare la ratio dell’omologazione forzosa, la cui funzione è quella di perseguire il preminente interesse concorsuale attraverso il superamento delle resistenze degli uffici alla proposta transattiva, le quali si dimostrano immotivate in presenza di un’attestata convenienza della stessa rispetto al fallimento e in contrasto con il principio del buon andamento della Pubblica amministrazione stabilito dall’articolo 97 Costituzione: l’amministrazione finanziaria, infatti, nell’ambito della transazione fiscale dispone di una «discrezionalità per così dire “vincolata” al maggior soddisfacimento e convenienza tra i due termini di comparazione», il cui concreto esercizio soggiace sistematicamente al sindacato del giudice ordinario fallimentare (come sancito dalla Cassazione a sezioni unite nell’ordinanza n. 8504/2021). Nel provvedimento adottato, i giudici milanesi hanno altresì precisato che:

1) la soddisfazione erariale ottenibile in caso di fallimento è stata valutata anche alla luce dell’entità del risarcimento danni conseguibile attraverso azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali e dell’unico socio, quantificata però quasi pari a zero in virtù sia dell’elevato profilo di aleatorietà di tali azioni, sia dello “sconto” dovuto al notevole lasso temporale occorrente per l’effettivo incasso delle somme eventualmente ritenute dovute;

2) la convenienza della proposta transattiva emergeva in maniera esaustiva dall’attestazione del professionista indipendente;

3) l’amministrazione finanziaria si era limitata a esprimere il rigetto della proposta di transazione fiscale, senza però indicare alcun motivo di censura da riferire all’attestazione dell’esperto indipendente.

Infine, poiché pervenuto oltre il termine di novanta giorni dal deposito della proposta transattiva di cui all’articolo 63, comma 2, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la società aveva richiesto al tribunale di Milano di considerare il rigetto «tamquam non esset». Questa eccezione è stata però respinta, perché un analogo termine non è contemplato nella disciplina attualmente in vigore e, secondo i giudici meneghini, la lacuna normativa non sarebbe risolvibile in via interpretativa. Se così fosse, però, proprio la semplice inerzia dell’amministrazione finanziaria renderebbe di fatto inapplicabile il cram down fiscale negli accordi di ristrutturazione, almeno fino all’entrata in vigore del Codice della crisi.

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